Descrizione
Ora residenza municipale, l'antico castello di Poggio Renatico, di fondazione medievale, fu costruito dalla famiglia bolognese dei Guastavillani, quindi, nel XV secolo, pervenne ai Lambertini per ragioni di matrimoni.
L'edificio fu ricostruito già nel 1475 a opera di Egano Lambertini. La Miscellanea di memorie di Storia bolognese riferisce: «Sei miglia camina la sua jurisdizione (del Poggio) e quattro per l'altro e fa 255 fuochi. Vedesi un castello con fosse e ponti levatoi dove lì risiede il Commissario della Regione il quale è fornito di tutte quelle cose che appartengono alla militia militare. Egano Lambertini nel 1475 restaurò il detto castello quivi con valle per pigliare pesci e cacciagione: fagiani, starne e altri animali volatici trovati in gran copia, et ogni lunedì si fa il mercato».
Nel ‘500 le trasformazioni apportate dai Lambertini furono volte a ingentilire l'austera struttura di carattere difensivo. Il castello divenne un palazzo: d'altra parte, l'evoluzione dell'arte della guerra rese inutili i sistemi difensivi del vecchio modello delle rocche. La ricostruzione del 1584 ad opera dei conti Cornelio e Cesare Lambertini, per uso del governatore del feudo e della comunità di Poggio Renatico, è attestata da una lapide posta sotto la torre dell'attuale palazzo.
Intorno al 1660 l'antico maniero venne pressoché rifatto. Poco prima, nel 1655, dopo essersi convertita al cattolicesimo, la regina Cristina di Svezia, diretta verso Roma, vi fece sosta e vi fu ricevuta degnamente.
Il castello, come si presentava in passato, non viene mai descritto come un singolo edificio, ma come un complesso che contemplava l'affiancamento del palazzo, della chiesa e di una serie di piccoli edifici o casamenti di pertinenza.
La più antica immagine ci viene tramandata da uno schizzo contenuto in un libro manoscritto di disegni del 1578, eseguiti da un autore anonimo (ristampa condotta da Mario Fanti nel 1967, "Ville, castelli e chiese bolognesi").
Il disegno "Poggio de S. C. Lambertini" mostra una serie di edifici accorpati con una torre centrale e un ponte levatoio d'accesso. Sul lato destro della torre si erge la chiesa di foggia romanica e una serie di edifici più bassi a essa addossati. Sul lato sinistro si possono vedere i resti di una seconda torre, che porta tracce di una finestra ad arco acuto: il solo ordine di finestre evidenzia l'esistenza di un unico piano, mentre le feritoie, poste lungo il basamento, indicano la presenza di piani di servizio, che all'epoca costituivano il piano terra, mentre oggi ne sono il seminterrato.
La torre centrale, oggi dell'Orologio, appare di maggiori dimensioni rispetto all'attuale, a filo di facciata con un avancampo più basso che la circonda, munito di merlatura e di un accesso con ponte levatoio. Un percorso in muratura, pure merlato, congiungeva il castello a un rivellino con ponte levatoio che immetteva sulla strada. Il tutto circondato da un fossato. Un terzo piccolo ponte di legno immetteva in quello che doveva essere l'orto.
A margine si trovano appena abbozzati alcuni edifici, che dovevano essere situati nelle immediate vicinanze: tra loro una struttura esagonale con colonne e gradini d'accesso, che si ritrova riportata nelle planimetrie catastali dell''800 con la dicitura ‘pavaglione'.
Un'altra immagine si può ricavare da un dipinto settecentesco esistente nella Villa Speranza a Bologna, già proprietà di Prospero Lambertini, poi papa Benedetto XIV.
Vi si può vedere il castello settecentesco composto di una torre merlata, affiancata da due case di diversa altezza: sul davanti il corpo di guardia dell'oratorio di San Pietro e le stalle; sul fondo la torre poi detta dell'Ortolano, una casa con torretta campanaria e orologio a meridiana e un'altra in posizione elevata su un argine. In primo piano una costruzione a otto colonne che sostengono un tetto conico.
I rogiti notarili riferiscono altre notizie, descrivendo spesso gli interni e gli arredi contenuti (inventario dell'eredità di Cornelio Lambertini, notaio Giulio Cesare Casarenghi, 19 ottobre 1603; rogito, notaio Giulio Cesare Casarenghi, 17 marzo 1605; rogito, notaio Marc'Antonio Ghelli, 19 ottobre 1608; rogito, notaio Pellegrino Travaglini, 13 settembre 1623).
Quando la dinastia dei Lambertini si estinse, nel 1822 il castello venne ceduto alla comunità del "Pogio et Uniti" per 4.000 scudi.
Verso la fine del secolo al palazzo, che aveva una facciata asimmetrica rispetto alla torre centrale, venne aggiunto un nuovo tratto di otto metri al lato nord: proprio questa parte fu danneggiata dalle alluvioni del 1949 e del 1951 e ricostruita a cura del Comune. Nel 1897 la struttura fu oggetto di un profondo e risolutivo restauro da parte dell'ingegner Ruggero Carini, che modificò, ampliò e sopraelevò parti del castello, modificandone l'immagine e reinventando un castello-palazzo, che conserva solo in alcune parti le tracce della sua origine evidenziando casualmente le trasformazioni, altrettanto profonde, subite nel ‘500 e nel ‘600.
La facciata dell'ala di mezzogiorno, ad esempio, conserva ancora parte delle finestre tardo cinquecentesche, con decorazioni a bugnato rustico ‘alla romana'. Si possono inoltre ancora leggere i resti di una serie di finestrature ovali, che scandivano ritmicamente la facciata: questi ovali servivano a dare luce a dei ‘camarini', situati all'interno di ‘camare' o ‘stanze' più grandi, di cui viene riportato l'uso nell'esposizione dei diversi rogiti. Sulla stessa facciata rimangono inoltre tracce di una preesistente merlatura, tamponata dalla elevazione del muro, eseguita successivamente e quasi sicuramente rimaneggiata dall'ingegner Carini.
Già da prima invece il nucleo abitativo aveva perduto la chiesa, dedicata ai Santi Pietro e Paolo, a cui si fa riferimento nel manoscritto del 1578, negli inventari delle eredità dei Lambertini e in un manoscritto del 1712 dell'Archivio Gozzadini. Il suo abbattimento avvenne tra il ‘700 e l''800, dal momento che nelle piante catastali del 1835 non figura più. Così come, forse qualche tempo prima dei lavori del 1897, furono eseguite demolizioni di parti del palazzo, perché in pessimo stato di conservazione: allora il grande spiazzo del castello divenne la piazza del paese e gli orti furono trasformati nei giardini municipali.
I rimaneggiamenti tardo ottocenteschi in stile neogotico, a richiamare i palazzi bolognesi e ‘padani', ridefinirono completamente lo stile architettonico del castello, quasi contemporaneamente ad altre grandi trasformazioni che il paese stava affrontando nel fervore costruttivo di quegli anni.
Ancora oggi al piano nobile del castello sono conservate alcune preziose testimonianze del suo glorioso passato, quali le decorazioni murali settecentesche delle due ultime sale del lato sud. Le pareti di queste stanze, per un metro dal soffitto, sono riquadrate in rettangoli, tre per parete: nei due esterni vi sono motivi ornamentali settecenteschi, con piante stilizzate, uccelli, pesci, animali immaginari, mentre nei rettangoli centrali sono dipinti paesaggi che possono essere rappresentazioni della vita locale tratte dal vero, sia pure con molta libertà interpretativa. Dei sei paesaggi cinque mostrano corsi d'acqua, alberi, case, ponticelli, scene di lavoro, di caccia e di pesca.
   Â
     Â
     Â
Quattro i pregevoli dipinti antichi.
Un incisivo ritratto di papa Lambertini (XVIII secolo): "Il pontefice bolognese, vissuto dal 1675 al 1758, è ritratto in piedi con accanto alla mano benedicente un campanello, poggiato su un cartiglio. E' un quadro di maniera".
Una drammatica crocifissione del ‘600 emiliano: "Tale dipinto si caratterizza per la posa plastica con la quale è definito il corpo di Cristo. Ai lati della croce, ci sono le figure dolenti di Maria, Giovanni e Maddalena, animate da intensi cromatismi. Sul fondo un brevissimo scorcio di paesaggio popolato da figure di armigeri".
Una dolente di grande raffinatezza ottocentesca: "La dolente è una figura femminile a grandezza naturale, colta in un attimo di meditazione. E' caratterizzata da un delicato cromatismo e da una grande forza suggestiva".
Una pala della beata Imelde Lambertini, della bottega del Gandolfi (metà del ‘700).
        Â