L’antica Abbazia di San Michele

La vecchia chiesa di Poggio Renatico

Descrizione

La vecchia chiesa di Poggio Renatico sorge nel borgo attualmente denominato Chiesa Vecchia, detto semplicemente Chiesa agli inizi del ‘900.
E' una delle più antiche pievi della Diocesi di Bologna, a cui tutt'ora afferisce la parrocchia poggese. La sua costruzione, probabilmente sul sedime di edificio di culto preesistente, è infatti anteriore al 1200: un atto di quell'epoca afferma il diritto dei Lambertini su di essa. L'elenco delle chiese e dei luoghi pii della città e della Diocesi, compilato nel 1366, riporta catalogata la "Plebs S. Michaelis de Rognatico", in origine con il titolo di chiesa arcipretale. Nell'elenco del 1408 si aggiunge ad essa un chiericato con la chiesa "S. Petri cum Ecclesia S. Mariae de Podio Rognatico seu Lambertinorum" e con la chiesa "S. Prosperi de Villa S. Prosperi".
Anche dall'Archivio Arcivescovile vi risultano unite le due chiese di San Pietro e Santa Maria della Valle, benché non si faccia cenno a quella di San Prospero: la prima sarebbe stata anticamente parrocchia del castello e più antica forse di quella di San Michele. Un documento, conservato nell'Archivio parrocchiale, datato 24 febbraio 1377, parla anch'esso della "Ecclesia Sancti Petri de terra Podij Rognatici Bononiensis Diocesis", confermando l'esistenza delle due chiese.
L'aspetto primitivo dell'edificio è testimoniato da uno schizzo del 1578 circa attribuito a Egnazio Danti: nell'annotazione marginale si legge «A questa chiesa bisogna rimutare la porta et accrescerla per il longo et per il largo».

Il disegno fa parte di un manoscritto della raccolta Gozzadini, conservato alla Biblioteca comunale dell'Archiginnasio di Bologna, e recentemente pubblicato.
Nel 1592 l'edificio fu pressoché ricostruito e assunse dimensioni imponenti, con un volume quasi raddoppiato: mantenne tuttavia l'originario stile romanico, per volontà del rettore della pieve Marcello Lambertini, che insieme ai copatroni Cornelio, Cesare, Giulio Cesare e Guido Antonio stanziarono per l'intervento la somma di 500 lire bolognesi, ricavate dalla vendita del frumento raccolto sui terreni della chiesa. Architettonicamente risultava ad aula unica, con facciata a capanna triangolare in mattone e calce, con rosone centrale.
Con bolla del 2 maggio 1643 il pontefice Urbano VIII le conferì il titolo di abbazia secolare: il 24 novembre 1644 l'arcivescovo di Bologna Girolamo Colonna emise il decreto di conferma della bolla papale. L'accresciuto prestigio dovette portare ulteriori abbellimenti e l'arrivo di un considerevole numero di sacre reliquie.
Allora dipendeva da essa la chiesa dei Santi Gervasio e Protasio del Molinazzo, che, eretta in cappellania nel 1600 per la grandissima estensione della parrocchia, nel 1697 divenne inservibile a causa degli straripamenti e delle alluvioni del Reno: la cura sussidiaria fu trasferita nell'attuale chiesa di Santa Maria dei Boschi. In quell'epoca esistevano inoltre nel circondario della pieve quattro pubblici oratori: il primo dedicato ai Santi Pietro e Paolo, entro il castello, demolito nel 1936 durante i lavori di ampliamento dei giardini pubblici; il secondo dedicato a San Sebastiano e di pertinenza Lambertini, il terzo a San  Carlo Borromeo, il quarto a San Bartolomeo Apostolo, con annesso ospizio per i poveri.
Dalla visita pastorale del 1691 risulta che la facciata era dotata di una porta principale con lo stemma marmoreo dei Lambertini, due porte più piccole, un enorme finestrone rotondo centrale, con le insegne della casata nella vetrata, come nelle quattro finestre e nella porta orientata a sud, verso il cimitero, in seguito chiusa.
L'edificio, a navata unica, conteneva sette cappelle e altari dedicati a San Lucio Martire, San Michele, Sant'Antonio Abate, San Bernardino, Beata Vergine del Rosario, Santa Maria Maddalena, San Gregorio e Anime del Purgatorio; vi erano quattro sepolture sotto la pavimentazione: una destinata ai Confratelli di San Carlo Borromeo.
Abbiamo notizia anche di un quadro di grande pregio raffigurante la Beata Vergine e gli Apostoli Pietro e Paolo, di cui fu autore il celebre Bagnacavallo e che era collocato nell'altare eretto nel 1703 nella sagrestia: nel 1769 l'originale fu venduto e sostituito con una copia di Alessandro Mazza.
Al 1735 data la visita pastorale dell'arcivescovo Prospero Lambertini, poi papa Benedetto XIV. In seguito cambiarono i titoli degli altari: Santissimo Crocefisso, Santissimo Rosario, Sant'Antonio, Calvario, Purgatorio e altare delle reliquie.
Nel ‘700 la chiesa venne gravemente danneggiata dalle alluvioni e fu restaurata nel 1780: i lavori lasciarono invariato l'antico impianto romanico, modificando invece, in modo sostanziale, sia l'interno sia la facciata. Arcangelo Gaiani, divenuto abate nel 1766, commissionò all'architetto bolognese Angelo Maria Venturoli la ristrutturazione, finanziata con mezzi propri e con l'aiuto dei parrocchiani per la più che considerevole cifra di 9.000 lire bolognesi.

I lavori effettuati tra il 1778 e il 1792 e, in una seconda fase, tra il 1792 e il 1804, comportarono il rifacimento interno della struttura in stile neoclassico con la diminuzione degli altari da sette a cinque, la costruzione di un soffitto a cassettoni in gesso a coprire il soffitto a capriate lignee della navata, la realizzazione di stucchi, affidata a Giacomo Rossi e a Luigi Acquisti, e del ciclo pittorico dei Dodici Apostoli, da parte forse di un pittore della cerchia del bolognese Domenico Pedrini, autore del ritratto della beata Imelde (il ciclo fu poi restaurato dal centese Antonio Guandalini).
La facciata venne trasformata con una porta centrale e due laterali e si aprirono nuove finestre, più grandi, ma meno armoniose, dopo la chiusura delle originarie. Modificazioni successive vennero affrontate esclusivamente per adattare le decorazioni ai mutamenti dei gusti.
A fine ‘800 il catino absidale fu affrescato con l'Assunzione e i quattro Evangelisti nei pennacchi. Nel 1898 vi fu un altro restauro conservativo per garantirne la messa in sicurezza, ma la notte del 21 marzo 1901, alle 4,30, forse per l'insufficiente armatura, forse per infiltrazioni d'acqua, il controsoffitto crollò per circa un terzo.
Per il pericolo di ulteriori crolli la chiesa venne chiusa al culto, che provvisoriamente ebbe luogo nel piccolo oratorio di San Carlo, situato poco lontano e di proprietà della Confraternita del Santissimo Sacramento (eretta nel 1614), quindi, dal 26 maggio, nel salone del Castello Lambertini, l'odierna Sala CCC, ceduto temporaneamente dal Comune.
A quest'epoca risale la controversia tra il restauro della chiesa e la costruzione di una nuova struttura al centro dell'abitato sviluppatosi attorno al Castello Lambertini, distante ormai dal borgo vecchio. L'abate Carlo Benfenati si batté per quest'ultima possibilità, da lui prospettata sin dal 1897: rifiutò di officiare in San Michele e in seguito fece trasferire nella nuova sede l'organo, le campane e gli arredi sacri dell'abbazia. Ne nacque un contenzioso col marchese Prospero Righi Lambertini, che ricorse al tribunale di Ferrara, il quale lo obbligò ai necessari lavori di restauro.
L'intervento venne eseguito sotto la direzione dell'ingegner Ruggero Carini, che nel 1897 aveva ricostruito parte della residenza municipale di Poggio Renatico, e ultimati l'1 settembre 1902: allora il soffitto venne ricostruito e decorato con l'immagine del trionfo di S. Michele nel moderno stile liberty.
Di fronte alla nuova situazione (il 25 settembre 1902 venne abrogata l'ordinanza di chiusura) la corte d'appello di Bologna obbligò l'abate a riportare gli arredi nella vecchia sede e a riprendere le funzioni.
Il Comune di Poggio Renatico invece nel 1904 ne decretò la definitiva chiusura con il pretesto della contiguità del cimitero e il marchese, salvaguardati i diritti di famiglia, consentì il trasferimento della sede parrocchiale nella nuova chiesa, tradendo le aspettative e gli sforzi della gente del borgo, che si era fatta carico del rifacimento del soffitto sperando di poter tornare a celebrare nell'edificio romanico qualche funzione religiosa. Lo smacco fu tale che per un lungo periodo gli abitanti del borgo non andarono più a messa.
Nel 1907 fu consacrata l'attuale chiesa parrocchiale, intitolata anch'essa a San Michele, mentre la vecchia iniziò sempre più a cadere in abbandono. Sconsacrata, venne ridotta a magazzino della canapa e affittata con la canonica. Fu quindi privata dell'abside al posto della quale fu costruita una ‘casa da inquilini'; nello spazio che separava l'ex chiesa dal cimitero venne costruita una casetta a uso di lazzaretto comunale, come attesta un atto del 1919 in favore di don Agide Testi, e il pavimento settecentesco venne rivestito da un altro in cocciopesto alla veneziana.
Per pagare i lavori della nuova canonica, all'elevato costo di 150.000 lire, don Testi ottenne dalle autorità ecclesiastiche l'autorizzazione a vendere il complesso e le sue pertinenze con asta pubblica: nel 1921 la proprietà fu acquistata dall'avvocato Gianni Dialma, in qualità di amministratore unico dell'immobiliare romana Eridania per 50.000 lire. Successivamente, nel 1928, passò per 10.000 lire ad Albino Vezzani, che la destinò a magazzino agricolo.
Nel periodo della seconda guerra mondiale venne anche occupata dai tedeschi come magazzino edile: è di questo periodo l'allargamento della porta centrale – ai quattro pezzi del portone originale ne vennero aggiunti altri due per adattare i battenti alla nuova apertura: nella parte interna sono ancora presenti alcune scritte in tedesco -, con interruzione delle lesene di facciata e la tamponatura delle porte laterali.
L'Ufficio Centrale per i Beni Archeologici, Architettonici Artistici e Storici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in data 23 gennaio 1999, ha decretato che «l'immobile denominato "ex chiesa di S. Michele" è dichiarato di interesse particolarmente importante ai sensi delle legge 1 del giugno 1939 n. 1089 e viene quindi sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nella legge stessa».

Nell'ottobre del 2002 è stata acquistata da Antonino Persi di San Pietro in Casale, allo scopo di restituirle vita e decoro attraverso il restauro e la destinazione a sala polivalente: le porte dell'ex abbazia ritrovata si sono riaperte il 1° novembre 2002 con una "Anteprima del restauro".
Alto 19 metri e lungo 30, oggi l'edificio, un tempo rosso cupo, come rivelano alcuni frammenti, conserva il portone aperto sulla facciata sud-est dall'esercito tedesco, la facciata è tripartita da lesene ed è coronata da cornicione ad archetti, molto diffuso nell'area ferrarese, mentre risultano tamponate le porte laterali.
I prospetti laterali in mattoni a vista sono scanditi da lesene con archetti bipartiti, motivo ricorrente nell'architettura romanica e prerinascimentale dell'area padana.
Nell'interno, ad aula unica, le pareti sono scandite da arcate, nicchie e finestre ripartite da riquadrature architettoniche e da una cornice a metà altezza che corre intorno dividendo l'apparato decorativo in due ordini. Nella parte inferiore sono ancora presenti tracce di affreschi; nella parte superiore, sul lato sinistro, si aprono tre finestre cui corrispondono sul lato destro altrettante finestre vetrate disegnate. Sul soffitto si conserva l'immagine di San Michele e nel catino absidale il dipinto dell'Ascensione.

Si ringrazia il proprietario Architetto Antonino Persi per la documentazione storica e fotografica, tratta dalla tesi di laurea di Antonino Persi e Nazzareno Archetti "L'intervento settecentesco di Angelo Venturoli nell'‘abbazia' di San Michele Arcangelo a Poggio Renatico. Analisi storica e proposta di restauro" e desunta dal lavoro di ricerca degli storici Tito e Gianni Cerioli.

Ultimo aggiornamento: 12/08/2024, 13:18

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