Le Torri

Le torri del Comune di Poggio Renatico

Descrizione

Sin dall'alto Medioevo il territorio di Poggio Renatico, ancora invaso da specchi palustri e boscaglie, venne fortificato dai bolognesi attraverso una discontinua linea di torri e castelli che consentiva il controllo esclusivo della pesca e del commercio fluviale, nonché la protezione dalle mire espansionistiche dei confinanti ferraresi.
Gli Statuti di Bologna del 1250 disponevano: «... si ponga una campana sulla Torre dell'Usolino, un'altra sulla Torre del Cocenno e una sulla Torre del Poggio, perché i comuni delle terre possano e debbano correre... quando li nemici tentino di venire nel nostro distretto».

 

Torre dell'Uccellino, detta anche dell'Usolino

Era situata in origine lungo un'importante via di collegamento fra i territori di Bologna e di Ferrara.
Eretta nel XIII secolo, la sua struttura ricorda le più famose torri bolognesi: pochi fori nel parato murario in cotto a vista, rastrematura nella parte mediana e coronamento a merlatura guelfa. La sua mole massiccia testimonia le ragioni difensive della sua edificazione. Vide fatti di sangue, agguati e uccisioni e subì assalti e invasioni.
Dal "Diario Ferrarese" del gennaio 1499 ci viene a tal proposito una eloquente testimonianza storica: «Vennero da Bologna per l'Oxelino quattro fanti. Come furono a la confina uno de dicti quattro levò la runcha e taiò el colo a uno degli altri tri et tolseli li denari che aveva adosso et ritornasse verso Bologna...».
E ancora, Corrado Ricci scrive in un passo di "Anime Dannate": «L'ombra della torre dell'Uccellino, sulla strada di Ferrara, è profonda come quando ivi furono trucidati i due figli di Galeazzo Marescotti per l'ira di Giovanni Bentivoglio. Rintoccò dall'alto la campana per raccogliere i villani che inseguissero gli uccisori, ma il suono si disperse per la deserta pianura acquitrinosa».
Il presidio perse la sua importanza quando Alfonso d'Este, incurante delle proteste dei bolognesi, ne asportò la campana per ricavarne bronzo per i suoi cannoni (nella stessa fonderia ‘si sciolse' anche la statua di Giulio II, già modellata e fusa da Michelangelo, meno la testa, scomparsa nei sotterranei del Castello Estense). E ancora quando, dopo la bonifica, vennero aperte nuove strade nel territorio e Poggio si poté raggiungere attraverso il Chiesuolo della Dogana, oggi Chiesuol del Fosso, e la Traversa, senza dover fare il giro vizioso per Torre Fossa e San Martino.
Un pregevole studio condotto da Alberto Monti getta nuova luce sulla originaria natura dell'attuale Torre dell'Uccellino, che, in realtà, sarebbe stata un vero e proprio castrum, un castello.
Di seguito sono riportate le note documentarie preliminari, tratte da "Il sistema difensivo bolognese in base agli statuti comunali dei secoli XIII – XV" di Alberto Monti appunto.
«Quella che oggi è comunemente detta Torre dell'Uccellino viene menzionata dagli statuti del 1245-67 come castrum.
Di esso si stabilisce la costruzione di un muro bene fondato e realizzato con calcina, che si elevi sopra terra di almeno sei ponti senza considerare i merli. In un angolo del muro deve poi essere realizzato uno scorpionus, alto tre ponti oltre i merli, ed esso deve essere merlato come lo è il muro. Inoltre davanti alla porta deve essere realizzato un barbacane con una casa (domo) senza cassero. Ivi deve essere realizzata anche una torre, che si elevi dal piano di campagna per almeno venti ponti.
La seconda rubrica presente negli statuti di questi anni non è meno interessante, dal momento che statuisce il riattamento degli argini e delle rive che difendono il castrum e il cui stato minaccia la stabilità del muro.
In merito a questo sito gli statuti del 1245-67 ci informano della dotazione da parte del comune felsineo di una campana, così come accade anche per la Torre di Cuncini, la Torre del Poggio e quella del comune di Galliera.
Una seconda rubrica ci informa della necessità di riattare argeles seu rivales del castrum, per difendere il muro dall'impeto delle acque vallive. Abbiamo dunque indicazione di almeno tre elementi difensivi già esistenti alla metà del XIII secolo e del fatto che il sito fosse considerato a tutti gli effetti come un castello.
Altre informazioni da un'altra rubrica, la quale ci informa della presenza nel castello di un capitano e di custodi, i quali debbono occuparsi del ponte del castello (pontem dicti castri) usando ‘spranghe' ed assi in modo da mantenerlo pervio. Da come la questione viene presentata parrebbe che il ponte faccia strutturalmente parte del castello, ma anche che su di esso si svolga traffico [...].
Sappiamo infine che la custodia del castello viene affidata a tale Jacobino Vixende.
Anche gli statuti del 1288 si occupano estesamente del Castrum Losilini: dapprima apprendiamo del fatto che al comando della sua guarnigione fosse destinato un capitano, e poi che essa fosse costituita da quattro custodi.
Apprendiamo inoltre di una funzione daziaria del castello, in correlazione con il ponte ad esso prossimo sul lato ovest.
Gli statuti ci forniscono inoltre l'informazione relativa al fatto che all'interno del castrum si trovassero anche edifici civili non connessi con la gestione comunale del sito. Strutture di questo tipo avrebbero potenzialmente potuto trovarsi fuori del castrum, tra esso e il canale sul quale transitava il ponte, e se ne statuisce la demolizione, evidentemente al fine di consentire alla fortificazione di meglio controllare il transito su di essi. La funzione daziaria del castello riemerge anche in seguito.
Gli statuti del 1335 ci confermano che Uccellino fosse un castrum e ci dicono che esso era vigilato da un capitano e quattro custodi, dei quali tre balestrieri ed uno armato di balestra grossa.
Secondo il cardinale Anglico (1371) questo sito è un castello ampiamente circondato dalle acque e da un alto muro ed è dotato di una buona torre; esso è presidiato da un castellano con nove ‘paghe'.
Uccellino è menzionato, negli statuti del 1376-89, come castrum presidiato dalle truppe bolognesi; il presidio è comandato da un castellano, al quale obbediscono sette soci armigeri, almeno quattro dei quali devono essere armati di balestra.
Per quanto riguarda gli statuti del 1454 essi ci informano dell'esistenza di una rocca afferente al castello (roche sive castri Oselini), presidiata da un castellano con sei armigeri, dei quali quattro almeno armati di balestra».

Torre del Cocenno

Sembra esistesse già prima del 1250: pare addirittura se ne trovi traccia nei diplomi di Ottone I, del 962, e del conte Ugo di Toscana, del 970.
Scrive il padre Cavicchi della Pieve di Cento: «La Torre del Cocenno si trova nella località dove sicuramente ai primi del 1200 confluivano i seguenti corsi d'acqua: il Cocenno, detto ‘fiume' e ‘canale', proveniente dall'estremo nord del centese, e il Riolo, che decorre in giù nelle valli di Galliera e di lì fino alla Torre del Cocenno. Dal luogo di confluenza dei due fiumi Cocenno e Riolo nel 1297 partiva il Lavino, sfociante nel Po presso la scomparsa Torre di Porotto».
Sorta con funzioni di sorveglianza, fu ristrutturata nel XIV secolo, mentre l'abitazione rurale che vi è addossata risale al ‘700. Le finestre a mezza luna sotto la cornice dovevano servire per l'avvistamento e l'uso delle armi da fuoco, mentre la porta e le finestre ad arco sono state aperte più tardi.
In un documento relativo alla parrocchia di Santa Maria di Galliera è riportato, in data 1691, che nella Torre di Cocenno vi era un oratorio di proprietà dei Padri di San Michele in Bosco, i quali avevano qui molti beni: questa testimonianza è ora conservata all'Archivio Arcivescovile di Bologna.
Dagli scritti di A. Benati si ricava inoltre che la tenuta agricola di Torre Cocenno nel 1806 fu assegnata da Napoleone all'Università di Bologna, allo scopo di migliorare, col ricavato della vendita, il laboratorio chimico, l'orto botanico, gli anfiteatri per le lezioni sperimentali, l'osservatorio e i gabinetti di meteorologia e fisica.

Torre del Poggio, detta anche dell'Ortolano o Fornasini

Austera, semplice, ma affascinante, risale al XIII secolo, quando aveva per la famiglia Lambertini funzione di avvistamento dei nemici.
La sua proprietà fu acquisita diversi secoli dopo da un'altra casata a cui la storia di Poggio Renatico è indissolubilmente legata: quella dei Fornasini. Portano ancora il nome di Carlo Fornasini una via del paese e una Fondazione, la Fondazione Dott. Carlo Fornasini appunto.
Le mura della torre videro la fanciullezza della beata Imelde Lambertini, figlia di Egano e Castora Galluzzi, nata nel maggio o nel luglio del 1321. Nel 1320 la famiglia Lambertini soggiornò a lungo a Poggio Renatico e probabilmente vi ritornò nel 1326, quando fu affidata a Egano la custodia della Torre dell'Uccellino.
Cresciuta nella fede e nella preghiera, Imelde entrò in convento giovanissima. Il 12 maggio 1333, vigilia dell'Assunzione, in convento erano state celebrate le funzioni e le suore si erano allontanate: lei sola era assorta in preghiera per chiedere la Santa Comunione, quando una luce abbagliante la stordì; riavutasi dallo smarrimento vide sopra di lei sfavillante un'ostia santa. Imelde, in ginocchio, con le mani congiunte, si comunicò e poco dopo la sua anima, ardente di amore e di fede, volava in cielo.

Dopo la peste del 1347 e del 1457, i resti mortali della suora subirono traslazioni in vari conventi. Nel 1783 il marchese Piriteo Malvezzi donò al convento delle suore di Santa Maria Maddalena un'urna per conservare le reliquie della religiosa, vissuta e morta in odore di santità.

Dopo la venuta di Napoleone in Italia e gli sconvolgimenti civili e politici che ne seguirono, la sacra urna fu data alla famiglia, fino al 1799, quando fu trasportata nella chiesa di San Sigismondo. La piccola suora fu beatificata nel 1826.
Tornando alla torre, nel 1963, durante alcuni lavori di restauro resisi necessari per i danni recati alla struttura da un fulmine, che causò il crollo dell'angolo ovest della sommità, l'allora proprietario Carlo Francesco Fornasini rinvenne degli affreschi entro le nicchie esterne della struttura e li donò alla Pinacoteca Nazionale di Ferrara.
Il loro recupero e distacco fu diretto dalla soprintendente Amalia Mezzetti, che li presentò alla IX settimana dei Musei italiani (1965-66).
Nel palazzo rossettiano di Ferrara si possono ammirare sei immagini di 173 per 95 centimetri, oggetto nel 1964 di opere di restauro e consolidamento per il cattivo stato di conservazione: la musa Urania e la Speranza – individuabili grazie a scritte apposte sulla sommità -; un gruppo di tre soggetti; due persone con una scimmia accanto a un camino acceso; quattro individui con un gufo; una scena che resta invece indecifrabile: del tutto misterioso è il significato dei frammenti con gruppi di più figure, connotati apparentemente da oscuri rimandi letterari e negromantici.

Rimane difficile determinare l'entità del ciclo, che dovette essere più cospicuo: la figura di Urania postula infatti la presenza delle altre Muse, così come è possibile che alla Speranza si affiancassero le altre Virtù. L'assenza di rilevazioni al momento del distacco degli affreschi impedisce inoltre di determinarne l'originario posizionamento e la primitiva funzione.

Le raffigurazioni conservate a Palazzo dei Diamanti attesterebbero l'attività poggese di uno fra gli interpreti più alti e originali del Rinascimento maturo: Amico Aspertini (Bologna 1474/1475-1552), interprete di rilievo della scuola bolognese e autore della "Pietà" conservata nella basilica di San Petronio a Bologna.
Il ciclo sarebbe da attribuire non alla fase tarda del pittore, ma a quella più inquietamente sperimentale del secondo decennio, che si apre alla frequentazione, oltre che dei nordici, della pittura giorgionesca: dopo i lavori in San Frediano a Lucca (1508-09) e comunque prima della sterzata in senso aspramente polemico costituito dalla Pietà (1519).
L'attribuzione degli affreschi ad Amico Aspertini, lungamente discussa da eminenti studiosi, confermerebbe il rilievo assunto dai signori Lambertini nel ‘500: Cornelio Lambertini, eletto senatore da Giulio II nel 1506 e nominato conte del Poggio dallo stesso pontefice nel 1510, aveva chiamato al suo servizio una delle più importanti personalità della cultura padana dell'epoca.

         
        

Torre Verga, detta anche Vedrega

Fu costruita agli inizi del ‘300 dal Comune di Bologna.
Le sue porte furono murate per ordine dei bolognesi nel 1306, affinché nessuno potesse assaltarla.
Oggi non ne rimane traccia, se non in una lapide murata sull'altana di un pozzo in località Madonna Boschi, al bivio fra la storica strada della Confina e la strada per Mirabello. Nell'iscrizione, posta nel 1883 dal conte Malvezzi per indicare il punto in cui sorgeva la torre, si legge: «Questo è il luogo dell'antica torre Verga, demolita nel 1861. Giovanni Malvezzi, patrizio bolognese, ne volle posta memoria – 1883».

 

 

 

 

Torre dell'Orologio

Si eleva imponente al centro del Castello Lambertini, dividendo il corpo orizzontale della facciata.
Venne rialzata all'inizio del secolo scorso con la realizzazione di una terrazza merlata in aggetto: la diversa colorazione dei mattoni consente di cogliere distintamente il punto in cui dalla parte originaria si innalza l'aggiunta successiva.
La costruzione, alta 25 metri, si sviluppa su quattro piani e un tempo era sede delle prigioni del castello. Salendo le anguste scale si arriva a una prima cella, dov'è conservato il peso che in passato faceva funzionare l'orologio meccanico: due robuste porte di legno, munite di numerosi chiavistelli in ferro, e doppie grate alle finestre assicuravano i prigionieri alla detenzione; in un angolo si conserva anche una primitiva forma di servizio igienico in pietra e mattoni. Un'altra rampa di scale conduce a una seconda cella con soffitto a volta: questo ambiente ospita oggi l'antico meccanismo a ingranaggi dell'orologio, ora sostituito da un congegno più sofisticato, che si trova nella stanza al piano superiore.
Da quest'ultima camera si arriva salendo una scala a pioli nel vano che ospita le campane. Infine la terrazza dalla quale si dominano quelle che furono le terre dell'antico feudo dei Lambertini
       

Ultimo aggiornamento: 12/08/2024, 13:30

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